sabato 19 ottobre 2013

E pacifico risplenda Sovra l'Austria ognora il sol!



Ricordiamo che lunedì 21 Ottobre sarà la festa liturgica del Beato Carlo d'Austria. Oltre alle nostre preghiere e alle celebrazioni nelle varie chiese, vogliamo rendergli onore con questo video.

I post di questo blog da ora in avanti verranno pubblicati nel blog Cavalleria Imperiale.

mercoledì 3 agosto 2011

Il nostro ultimo addio all’Imperatore di Adolfo Morganti

Sua Altezza Imperiale e Regia l’Arciduca Otto d’Asburgo, figlio primogenito del Beato Imperatore Carlo I d’Austria-Ungheria, Presidente d’Onore dell’Unione Paneuropea Internazionale, è morto il 4 luglio scorso, presso la propria magione bavarese, all’età di 98 anni.

Identità Europea, assieme alle altre Associazioni che ci aiutano ad organizzare l’Università d’Estate di San Marino ha immediatamente deciso di dedicare all’illustre figura dello scomparso il 16° Corso dela stessa, che si svolto da Venerdì 15 a Domenica 17 luglio 2011 sul tema “Europa 2011: il ritorno dei piccoli Stati. Autonomie, piccole patrie, processi di sussidiarietà”, nel corso del quale a più riprese diversi relatori hanno avuto la possibilità di ricordare e commentare il ruolo dell’Arciduca all’interno della grande storia dell’Europeismo novecentesco, ma anche nella storia più piccola del nostro lavoro di militanza e testimonianza culturale.
Avuta conferma, grazie alla squisita cortesia dell’Arciduca Carlo – figlio maggiore dell’illustre scomparso – della data delle esequie solenni presso la Cattedrale di Santo Stefano in Vienna, non potevamo esservi assenti, a dispetto della loro coincidenza con la giornata clou dell’Università d’estate 2011, sabato 16 luglio; pertanto una delegazione della nostra Rete associativa, composta da Franco Cardini e dal sottoscritto, è riuscita – malgrado difficoltà logistiche veramente singolari nell’Europa “globalizzata” che ama descriver se stessa come il luogo degli spostamenti rapidi – a portare la nostra bandiera rossa ed oro a Vienna sulla tomba di Monseigneur, come veniva appellato dai collaboratori più stretti. Sulla tomba dell’Imperatore. E con la bandiera, i pensieri, i saluti e le preghiere affidateci direttamente da tantissimi nostri Soci ed amici.

Preso atto della più totale censura attorno all’evento da parte della stampa italiana, unita come al solito concordemente da destra a sinistra nel rimuovere un evento storico di importanza realmente europea (la riaffermazione nel rito funebre del diritto e della missione della Monarchia Imperiale cattolica ad ordinare il mondo), ci è quindi sembrato necessario scrivere più che la nostra cronaca , la nostra esperienza di questa giornata, al fine di farne comprendere il significato per quanto a questa penna sia concesso. Soprattutto a fronte della patetica miseria in perfetta malafede di un altro stupro mediale, quello dei Telegiornali italiani che di questo momento hanno tratto solamente una carrellata gossip di teste coronate.

Chi – come il sottoscritto – ha avuto la ventura di partecipare nel novembre 2002 alle celebrazioni viennesi in occasione del 90° Genetliaco di Sua Altezza Imperiale e Regia l’Arciduca Otto d’Asburgo, già sperimentò, normalmente con un notevole stupore e un senso di speranza, l’impatto con un rito ed un popolo che riconosceva nella Persona omaggiata il Principio e la Funzione imperiale, e ad essa, attraverso la Persona, elevava preghiere di speranza e di “lunga vita”. Un rito antico e solenne, ossatura d’Europa; un popolo sovranazionale, sparso nelle membra disperse dell’antico Impero cattolico europeo che in quel giorno ri-convenne nell’antica Capitale imperiale. Rispetto ai quali l’occhiuta polizia del pensiero non aveva ceduto astio e volontà di impedire che i Simboli dell’antico Retto Governare ricominciassero a vivere al crepuscolo della modernità. Il dato simbolico – in quell’occasione – fu la reiterazione della proibizione di suonare all’interno della medesima e magnifica Cattedrale di Santo Stefano il Volkshymne, l’haydninano Inno Imperiale; ed esso fu ripetutamente solo accennato dall’orchestra di Schuetzen che animava la festosa liturgia, straboccante di gente. Ma la censura, nella sua assoluta stupidità, fu del tutto ininfluente: tre note bastano, eccome, a far vivere l’intera melodia.

Quasi nove anni dopo, la serena morte dell’Imperatore chiude un’epoca. Con l’addio a Sua Altezza Imperiale e Regia l’Arciduca Otto d’Asburgo si conclude in via definitiva il Novecento. Un secolo blasfemo e gnostico, all’interno del quale – e proprio l’Arciduca nella prima metà del secolo ne fu testimone ed ambìto pegno – si è fatta parossistica la lotta michaelita fra gli adepti del Signore delle Iniquità, che ad ognuno ed a tutti ripete in modo assordante “fai quel che vuoi, adorami, ché tu sei Dio” e le schiere arcangeliche che ripetono in aeterno la sfida, l’invocazione ed il canto “Quis ut Deus?”.

Penso quindi sia importante narrare quello che ho visto e vissuto in questa giornata.

Sbarcati, io e Franco, in una mattinata di sole e venticello liberante Vienna dalle cappe umide che affliggono l’Italia da cui proveniamo, fin dalla generosa ora dell’apertura dei negozi, le 10, ci rendiamo conto che la città è avvolta da qualcosa di speciale. Da lontano, la magnifica mole scura del Duomo di Santo Stefano è già avvolta da un brulicare sospetto. Ci avviciniamo. Il grande portale è chiuso da alte inferriate assediate da torme di turisti armati di macchinette digitali spernacchianti flashes verso l’oscurità della grande navata centrale. Dinanzi alla facciata l’ampia piazza è piena di gruppi misti: turisti chiassosi, i primi vestiti scuri del lutto, le avanguardie delle uniformi schutzen e degli antichi reggimenti. In mezzo ad essa, la Televisione di Stato austriaca ha costruito un’altissima torre scura per le riprese, che fronteggia un immenso schermo gigante che chiude un lato della piazza (un’altra, altrettanto enorme, è eretta di fronte all’ingresso della Cripta dei Cappuccini). Giriamo attorno al Duomo: negli uffici del Museo limitrofo, trasformati in punto d’appoggio, iniziano a convergere i labari, le divise e gli strumenti delle Corporazioni studentesche da tutte le università d’Austria. Dietro all’abside sono parcheggiati in fila una decina di autobus della Polizia di Stato e due enormi bagni chimici rossi grandi come vagoni ferroviari, sopraelevati per esser ben visibili anche da lontano. Tutto ci parla di una folla che non solo riempirà il Dom (a mia stima circa 3mila persone), ma dilagherà tutt’attorno. Migliaia di persone…
Mancano 5 ore all’inizio della celebrazione.

Capiamo che attendere l’orario ufficiale di ingresso nel Tempio (le 14,15) diventa pericoloso. Andiamo a mangiare qualche piatto tipico viennese innaffiato dal ricco vino della capitale, ed a rilevare alcuni reparti di lanzichenecchi fiorentini giunti a Vienna con mezzi eterogenei. Non tutti si presentano puntuali. Chi ha scelto di venire in auto è fermo in colonna: 50 km di coda in autostrada prima di giungere alla periferia della città; ci metteranno ore e giungeranno a celebrazione iniziata, ma giungeranno, e ci saranno – felici – anche loro, con l’immancabile vessillo del Granducato al vento.
Riflettiamo. Sulle autostrade d’Austria, un postmoderno serpente d’acciaio si snoda lento ed immenso, verso quella che per un giorno ridiventa l’Ombelico del Mondo. La Capitale dell’Impero: tale poiché in essa, ancora una volta, il feretro dell’Imperatore verrà accompagnato là dove i suoi Avi riposano. Quanto è grande questo Jormungandr ripieno di cuori? Quanti ne porta con sé? E se la testa del serpente si incunea caparbia fin dentro la navata centrale di Santo Stefano, da quali luoghi partono le sue code? Migliaia di persone in arrivo…
E mentre consumiamo il rapido pasto, incessanti passano a larghe falcate dinanzi a noi, lungo i grandi viali che convergono verso il Dom, centinaia e centinaia di uomini, donne e ragazzi nelle uniformi dell’antico Impero, misti a austere compagnie, famiglie, processioni nerovestite con le decorazioni a contrasto sul colore del lutto; colpisce una magnifica dama islamica, elegantissima nel suo chador completamente nero, sui tacchi altissimi, che le incornicia gli occhi da sortilegio; tutto attorno i turisti impazziscono e fotografano ogni cosa. La loro stupida allegria oggi, persino, non adombra.

Alle 13 entriamo in Santo Stefano. A 500 metri dall’obiettivo dobbiamo superare una vera e propria frontiera nel confine transennato che pare isolare (ma in realtà unisce nel profondo) l’area del Dom dal resto della città, con i relativi problemi del controllo d’identità e qualche correlato equivoco; accanto ad un bordone di tedesco, le note di lingue diverse che si mescolano compongono una melodia sovranazionale. I sopravvissuti ai controlli (e sono felicemente fra questi) marciano verso il portone principale del Dom. Dinanzi ad esso si affollano centinaia di portabandiera in uniforme: reparti militari, Ordini Cavallereschi, Compagnie di Schutzen, Labari di Associazioni religiose, territoriali, di volontariato. Si fatica a farsi strada nella calca. Sbatto addosso ad uno Schutze dai colori che riporto all’Italia e gli chiedo se è già giunto un amico, l’Assessore alla Cultura della Provincia Autonoma di Trento; mi guarda storto e mi avvisa che è della Val Venosta, e “quelli lì” non li conosce mica. Comprendo che anche sotto l’Impero c’era sempre qualcuno più terrone di te… consolante! Deviati ad altra porta risaliamo la corrente della rappresentanza storica dei Croati: fra loro due marcantoni di due metri indossano le uniformi ottocentesche dei reparti delle isole dalmate, identiche a quelle dei loro padri, gli Schiavoni che difesero Venezia dai giacobini di Napoleone, anche contro sé stessa e la viltà dei suoi capi. Aria d’Europa.
Dietro di loro incede un picchetto d’onore dell’Esercito austriaco di oggi, che monterà la guardia al feretro dell’Imperatore: l’Arciduca Otto d’Asburgo avrà oggi onori ufficiali da quella Repubblica che non l’ha mai amato, l’ha sempre temuto per l’affetto che lo lega al popolo, e che oggi, forse proprio perché è morto, ha deciso di trattarlo meglio del solito. Conoscendolo un poco, dall’alto dei Cieli l’Arciduca gradirà il gesto, senza infierire.

La Chiesa si riempie rapidamente. Il feretro di Sua Altezza Imperiale e Regia l’Arciduca Otto d’Asburgo, figlio primogenito del Beato Imperatore Carlo I d’Austria-Ungheria, Presidente d’Onore dell’Unione Paneuropea Internazionale è posato alla fine della navata centrale del Dom, coperto da un vessillo giallo e nero con gli stemmi dell’Austria e dell’Ungheria riuniti dalla Corona imperiale: è l’emblema dell’Impero federale, cui lavorarono Massimiliano e Francesco Ferdinando, che doveva vedere accanto ai primi due anche gli stemmi del Vicereame – e poi Regno – d’Italia e del Regnp dei popoli slavi. Un sogno ucciso dalle utopie di loggia, dagli attentati anarchici e dai nazionalismi. Destra e sinistra – si direbbe oggi – coese nel mordere a morte l’antico sogno imperiale: così è stato, e l’Europa del Novecento non ne ha guadagnato che sangue e lacrime; per poi ripercorrere, sulle ginocchia e titubante, lo stesso percorso verso l’unità nella diversità. L’Arciduca Otto d’Asburgo l’aveva compreso perfettamente, e per questo, proprio in quanto erede spirituale e culturale della millenaria tradizione Imperiale europea, poteva operare in aiuto e supporto al sogno dell’Europa Unita.

Mentre le navate laterali del Dom si affollano, mi avvicino fuori-programma al feretro sul lunghissimo tappeto rosso che ne solca del color del sangue la grandiosa navata centrale, scortando un’alta autorità trentina. Lui si inchina composto al suo Imperatore; io, dopo di lui, mi inginocchio di fronte a quella bara, ne bacio la bandiera e vi appoggio il nostro bel vessillo porpora ed oro, con il Chi – Ro costantiniano contornato dalle dodici stelle d’Europa. Una reliquia da contatto, che Franco Cardini terrà per sé. Mi viene in quel momento improvvisa in mente una bellissima poesia di Ibanez Langlois sul sacerdozio e sulla vertigine che la coscienza di esso provoca nel piccolo uomo che esso trasmuta. Anch’io, piccolo cavaliere di provincia, che vengo dalla più piccola ed antica Repubblica d’Europa e del mondo, ho avuto il privilegio di baciare il vessillo funebre dell’Imperatore dell’Europa cattolica e la mia piccola e indegna spada, capace solamente di punzecchiare il ventre del drago, ne è stata gratificata. Come il prete di Ibanez, anche a me scappano lacrime. E gratitudine.

L’organo immane della Cattedrale segna l’inizio della funzione. Un messa da Requiem di Haydn per solisti, coro ed orchestra, altro cristallo di quel mondo che qui si è riunito per accompagnare Otto d’Asburgo alla Sua ultima dimora terrestre. A fronte di un “popolo” che nella sua caleidoscopica varietà di lingue, nazionalità, vesti e ceti riporta all’Unità del rito la molteplicità dell’identità d’Europa, inzeppando il Dom in ogni ordine di posti e luoghi, inizia la parata cerimoniale del Clero. Dalle navate laterali a quella centrale, le articolazioni dell’Ordo sacerdotalis si avvicinano lentamente all’Altar Maggiore. Assieme al Cardinal Christoph Schönborn, Primate di Vienna, concelebrano la Messa 15 Vescovi, vertici e simboli di Diocesi che dal meridione balcanico di Banja Luka si dispiegano per tutta l’antica Carta dell’Impero. E accanto ad essi, la presenza di esponenti religiosi Ortodossi e persino Islamici rimaterializza per un attimo il grande e generoso equilibrio religioso imperiale. La Celebrazione, tutta in lingua tedesca, si segue facilmente anche per chi sia a digiuno della lingua di Goethe: segno efficace dell’universalismo cattolico, che si riverbera nell’universalità dell’Impero stesso. Ed alla fine della funzione, un accordo d’organo possente intona il Volkshymne, l’Inno imperiale cantato in tutte le lingue: e nel canto comune il sogno dell’armonia imperiale pare risorgere, qui ed ora, sulla bara di un uomo mite e fedele che fino alla fine non ha tradito la bandiera che ora Lo ricopre. Per chi conosca la triste storia dell’acredine con cui il socialismo austriaco tentò nel secondo dopoguerra di proibire, cancellare, distruggere la memoria dell’Impero partendo dalla messa al bando dell’Inno stesso, per chi ricorda la tristezza con cui il 90° Genetliaco dell’Imperatore non poté concludersi con questa bellissima pagina musicale haydinana (allora l’organo si limitò a scolpire le prime tre note dell’Inno, per poi fermarsi più volte). Ora l’esplosione coinvolge tutti: un altro segno di quello che l’occhiuto ideologismo novecentesco oggi è stato costretto a concedere…

Infine, il Corteo funebre. Chilometri di persone hanno accompagnato per ore l’Imperatore alla sua ultima dimora, la Cripta dei Cappuccini. Un immenso attestato di amore che si è disteso attraverso tutti i luoghi della Vienna imperiale, mentre gli schermi giganti della Televisione di stato austriaca sparsi lungo il percorso, restituivano scorci impressionanti degli snodi più belli del corteo e della città. Vienna, città imperiale. Vienna, privata della pompa dopo il 1918, della libertà dopo il 1945, è tornata a riprendersi la sua storia. Chilometri di storia.
E alla fine del viaggio, per tre volte, nell’antico rito degli Imperatori, si è bussato alla porta della Cripta. La prima volta la lunga recitazione dei titoli dinastici e nobiliari dell’Arciduca Otto d’Asburgo non ha ottenuto altro che la risposta “Non lo conosco” da dietro una porta chiusa; la seconda volta la parimenti lunga litania dei suoi titoli accademici, politici ed istituzionali nelle istituzioni Europee ha ottenuto solamente la medesima risposta. Infine, bussando alla porta l’uomo, il cattolico, il peccatore, è stato riconosciuto ed accolto.

Ora l’Arciduca Otto d’Asburgo, Presidente d’Onore dell’Unione Paneuropea Internazionale, riposa assieme ai suoi Avi. Ma non a Suo Padre, la cui tomba rimane ove l’esilio degli uomini lo portò, e la povertà lo uccise. Eppure anche il ritorno a Vienna della salma del Suo figlio ha un significato ed è un segno. Nel momento in cui ogni sicurezza del mondo globalizzato crolla, ogni utopia svela la propria inconsistenza, i pilastri della terra europea si svelano ancora una volta essere sempre lì. In attesa che su di essi una nuova generazione di Europei ri-costruisca.
Dal Cielo di Giove, l’uomo, il politico, l’Imperatore preghi per tutti noi.

Haiku

Tristezza, gioia.
Finalmente riposa,
l’Imperatore.

N.B. l’Haiku è una tradizionale forma di poesia giapponese, composta di tre versi di 5 – 7 – 5 sillabe.
Adolfo Morganti

http://www.identitaeuropea.it/?p=355

mercoledì 16 febbraio 2011

Vita dell'imperatore Carlo - parte III

Era un soldato, ma non un sostenitore della guerra. Come soldato faceva il suo dovere da soldato. Ma quando si trovò sul trono, fece di tutto per raggiungere la pace. Non era stato lui a iniziare la guerra, però si impegnò con tutte le sue forze per fermarla. Su questo non ci sono dubbi e sono innumerevoli le testimonianze che lo documentano. In uno dei suoi primi discorsi da Imperatore disse: “Grandi compiti stanno davanti a noi. Il compito principale, che deve aver presente colui che è responsabile delle sorti della monarchia è di avviare il più presto possibile una buona pace”.
Durante la guerra era generale comandante di corpo d'armata. Il suo posto preferito era la prima linea da dove né i pezzi d'artiglieria che gli piovevano accanto, né i bombardamenti aerei nemici lo fecero mai indietreggiare. Era temprato ad ogni fatica, dormiva su un ruvido letto da campo insieme alla truppa. Anche se era successore al trono imperiale, non voleva mai niente di speciale per sé. Quando c’erano dei feriti, si inginocchiava accanto a loro e li medicava. Se qualcuno moriva tra le sue braccia, piangeva senza vergognarsi. Una volta, per salvare la vita di un soldato ferito, si gettò nelle acque gelide dell’Isonzo in piena rischiando egli stesso di venire travolto. Divenuto Imperatore, continuò a comportarsi come aveva sempre fatto, visitando le truppe al fronte, sfidando i bombardamenti nemici, fermandosi a parlare con i soldati, inginocchiandosi accanto ai feriti.
Per raggiungere questo scopo, mise subito in atto varie iniziative che da molti vennero ritenute temerarie. Esonerò l'arciduca Federico dalla sua carica di comandante in capo dell'esercito perchè riteneva che non fosse un uomo di pace; trasferì la sede del comando supremo da Teschen a Baden presso Vienna, per poter essere sempre presente alle riunioni; allontanò i fanatici della guerra dai posti di comando, alcuni li destituì; si oppose all’uso di gas letali. contro il nemico, già usati dai tedeschi; rifiutò il ricorso ai sottomarini per colpire le città nemiche che si affacciavano sull'Adriatico, ed in primo luogo Venezia: per lui la popolazione civile era assolutamente intoccabile. Per sostenere queste sue iniziative, si urtò con gli alleati che lo accusarono di essere un debole e un vile. I suoi tentativi di fermare la guerra furono definiti “un tradimento nei confronti dell'alleato tedesco”.
Durante la guerra, non si preoccupava solo dei soldati, ma anche della popolazione. In tutto l’impero erano drammatiche le difficoltà di approvvigionamento di generi di prima necessità, vettovaglie e perfino il carbone per riscaldarsi. Tutti i cittadini dovevano affrontare la dura realtà dell'economia di guerra e lo faceva anche l’imperatore. Visse con la sua famiglia adottando le razioni di cibo stabilite per la popolazione. Organizzò cucine di guerra per dar da mangiare a chi non ne aveva. Impiegò i cavalli di corte per l'approvvigionamento di carbone dei viennesi. Lottò contro usura e corruzione, regalò ed elargì più di quanto permettessero i suoi mezzi. Al Comando supremo a
Baden rifiutava il pane bianco che veniva passato, e sotto gli occhi degli ufficiali profondamente confusi, mangiava il pane di guerra nero.
 
 

lunedì 20 dicembre 2010

Vita dell'Imperatore Carlo - parte II

Carlo nacque nel 1887. Sul trono Austro-Ungarico regnava, fin dal 1848, Francesco Giuseppe e l’Imperatrice Sissi. Carlo era un loro pronipote. Era il primogenito dell’Arciduca d’Austria Ottone Francesco, nipote di Francesco Giuseppe. Nella linea di successione al trono imperiale austriaco, Carlo occupava il quinto posto. Nessuno poteva immaginare, allora, che sarebbe toccato a lui prendere il posto del mitico Francesco Giuseppe. Ma una serie di drammatiche circostanze sovvertirono tutte le logiche previsioni. L’unico figlio maschio dell’Imperatore Francesco Giuseppe e dell’Imperatrice Sissi, Rodolfo, morì misteriosamente nel 1889 a Mayerling, insieme alla sua giovane amante Mary Vetsera, senza lasciare figli maschi. Il fratello minore di Francesco Giuseppe, Massimiliano, era diventato imperatore del Messico e era stato fucilato dai rivoluzionari già nel 1867. L'arciduca Carlo Ludovico, secondo fratello di Francesco Giuseppe, morì nel 1896. Allora divenne principe ereditario l'arciduca Francesco Ferdinando, figlio di Carlo Ludovico; ma, a causa del suo matrimonio morganatico con una semplice contessa, fu costretto a rinunciare ai diritti al trono per gli eventuali figli, e ad accettare, come erede presuntivo, il proprio fratello, Otto, padre di Carlo. Ma prima morì Otto, a soli quarant’anni; poi, nel 1914, Francesco Ferdinando fu assassinato a Sarajevo. Una serie di lutti e di tragedie quindi aveva portato Carlo ad essere erede al trono.
Carlo ricevette la normale educazione che gli Asburgo riservavano ai loro rampolli: l’apprendimento delle varie lingue parlate nell’Impero, corsi ginnasiali e liceali presso l’abbazia benedettina degli “Schotten” a Vienna, e poi studi universitari a indirizzo giuridico a Praga. Ma fin da quando era un ragazzo, mostrò una grande attenzione e un profondo interesse per i valori religiosi. L’ambiente non era certo favorevole a questi valori. Suo padre, uomo affascinante ma libertino, non gli diede buoni esempi. Ma è difficile conoscere i rapporti che si instaurano nell’animo tra la persona e Dio, quando la persona risponde alla chiamata divina. E’ il mistero della vita spirituale e della santità.
A 16 anni, Carlo entrò nell’esercito e vi rimase fino alla fine della guerra, fino a quando dovette andare in esilio. Gli piaceva la vita militare. Tra i soldati si trovava perfettamente a suo agio. Era molto buono e disponibile con i suoi camerati, ai quali non solo non fece mai pesare il suo rango, bensì faceva di tutto per farsi sentire uno di loro. La vita militare è dura, a volte crudele e anche rozza. Ma come succede sempre con le persone che tendono alla perfezione, Carlo trasformava gli ambienti e le persone con i quali veniva in contatto. Non si lasciava influenzare, ma era lui che influenzava, cambiava, migliorava con la sua bontà e la sua condotta.
I suoi interventi a favore dei commilitoni erano esempi che conquistavano i soldati. Subito dopo le nozze, prestava servizio militare a Vienna. Alla vigilia di Natale seppe che un camerata desiderava tanto poter andare a casa a festeggiare con la famiglia, ma era ufficiale di picchetto e non poteva muoversi. Carlo prese il suo posto permettendo al soldato di correre a casa.
 

martedì 16 novembre 2010

Vita dell'Imperatore Carlo - parte I

Carlo apparteneva a una delle più importanti case regnanti dell’Europa, gli Asburgo, appunto. Una dinastia che ha avuto Imperatori del Sacro Romano Impero per molti secoli. Era il figlio primogenito dell’Arciduca d’Austria Ottone Francesco (nipote di sua altezza imperiale e reale Francesco Giuseppe), e di Maria Giuseppina, nata principessa di Sassonia. [...]
Pochi conoscono la storia della coppia imperiale che succedette a Francesco Giuseppe e a Sissi sul trono Austro-Ungarico, e cioè Carlo I° d’Asburgo e l’imperatrice Zita.


Eppure, Carlo e Zita, che al momento dell’ascesa al trono, nel novembre 1916, avevano rispettivamente 29 e 24 anni ed erano sposati da cinque, vissero “realmente” come Francesco Giuseppe e Sissi appaiono nella finzione filmica. La loro storia d’amore aveva proprio tutte le caratteristiche di quella raccontata nel film. Carlo e Zita erano giovani, belli, innamoratissimi, fedelissimi, la loro unione era pervasa da un romanticismo tenerissimo e vero che incantava. Ma fu una storia brevissima con un finale drammatico. Salirono al trono nel 1916, in piena guerra mondiale, e dopo due anni, alla fine della guerra, furono costretti all’esilio. Vissero altri quattro anni insieme, sempre inseparabili e felici nonostante la povertà e le ristrettezze economiche che rasentarono l’indigenza, poi Carlo, colpito da una broncopolmonite, morì a soli 34 anni



Ora, però, quella loro favola, finita in fretta e che gli sconvolgimenti politici europei degli Anni Venti avevano fatto dimenticare, è tornata alla ribalta. Ed è tornata perchè la Chiesa ha elevato alla gloria degli altari l’Imperatore Carlo I. Si viene così a scoprire che quel giovane monarca, bello, ricco, simpatico, generoso, romantico, era anche un santo. Il suo amore per Zita aveva quelle misteriose caratteristiche di tenerezza profonda, di fedeltà e di dono totali, come richiede appunto l’amore assoluto. Zita, accanto a Carlo, aveva vissuto un’esperienza sentimentale altissima, per questo, nonostante le occasioni poi incontrate, non aveva più voluto risposarsi. 

lunedì 1 novembre 2010

Lettera dell'Arciduchessa Cathalina d'Austria






Nella solennità di Ognissanti, invochiamo il Beato Carlo Imperatore d'Austria, perché protegga l'Europa e illumini le anime di tutti i politici, soprattutto di coloro più lontani dalla fede e dalla carità.
Riportiamo una parte della lettera dell'Arciduchessa Cathalina d'Austria, Contessa Secco d'Aragona, agli amici della Gebets-Liga:

"Oggi 21 Ottobre tutta la Chiesa venera il Beato Carlo nella comunione di Dio e dei Santi con la Regina degli Angeli e degli Spiriti Beati, la Vergine Maria, io mi unisco alle vostre preghiere, mi porto spiritualmente davanti a tutti gli Altari, sui quali si celebrerà, da parte di tanti Bravi Sacerdoti che ringrazio personalmente e particolarmente, il Divin Sacrificio.

Accanto al Nonno,  voglio ricordare la mia dolcissima Nonna, l' Imperatrice Zita , della quale ho tanti ricordi , i Suoi baci , le Sue carezze, le Sue parole di cielo, il Suo esempio. Anche per Lei , come sapete,  è istruita la causa di Beatificazione e la Chiesa la chiama Serva di Dio, chiedendo per Sua intercessione Grazie Celesti.
Possa questa Coppia, testimone di un grandissimo amore e di una fede  irriducibile, cogliere dal cuore di ciascuno di voi le preghiere più intime e vere , i bisogni  e i desideri più santi,  l' innocenza dei fanciulli, le speranze dei giovani, l' impegno degli adulti , la saggezza degli anziani, la sofferenza degli ammalati e tutto presentare al trono dei Re dei Re il Signore Gesù  datore di ogni Grazia,  di Pace e di Bene.

Vi ringrazio cari amici, Dio Vi Benedica. "

mercoledì 20 ottobre 2010

In onore del Beato Imperatore Carlo d'Austria

Domani 21 Ottobre è la Chiesa celebra, fra le sue schiere di santi e beati, l'Imperatore Carlo I d'Asburgo. Invochiamo l'intercessione e la benedizione per l'Europa intera.
 
Dal sito www.vatican.va

Carlo d'Austria nacque il 17 agosto 1887 nel Castello di Persenbeug nella regione dell'Austria Inferiore. I suoi genitori erano l'Arciduca Otto e la Principessa Maria Giuseppina di Sassonia, figlia dell'ultimo Re di Sassonia. L'Imperatore Francesco Giuseppe I era prozio di Carlo.
Carlo ricevette un'educazione espressamente cattolica e fin dalla fanciullezza venne accompagnato con la preghiera da un gruppo di persone, poiché una religiosa stigmatizzata gli aveva profetizzato grandi sofferenze e attacchi contro di lui. Da ciò ebbe origine, dopo la morte di Carlo, la «Lega di preghiera dell'Imperatore Carlo per la pace dei popoli», che nel 1963 divenne una comunità di preghiera ecclesialmente riconosciuta.
Ben presto crebbe in Carlo un grande amore per la Santa Eucaristia e per il Cuore di Gesù. Tutte le decisioni importanti venivano da lui cercate nella preghiera.
Il 21 ottobre 1911 sposò la Principessa Zita di Borbone-Parma. Nei dieci anni di vita matrimoniale felice ed esemplare la coppia ricevette il dono di otto figli. Sul letto di morte Carlo diceva ancora a Zita: «Ti amo senza fine!».
Il 28 giugno 1914, in seguito all'assassinio dell'Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono, in un attentato, Carlo divenne l'erede al trono dell'Impero Austro-Ungarico.
Mentre imperversava la Prima Guerra Mondiale, con la morte dell'Imperatore Francesco Giuseppe, il 21 novembre 1916, Carlo divenne Imperatore d'Austria. Il 30 dicembre venne incoronato Re apostolico d'Ungheria.
Anche questo compito venne visto da Carlo come una via per seguire Cristo: nell'amore per i popoli a lui affidati, nella cura per il loro bene e nel dono della sua vita per loro.
Il dovere più sacro di un Re - l'impegno per la pace - fu posto da Carlo al centro delle sue preoccupazioni nel corso della terribile guerra. Unico fra tutti i responsabili politici, appoggiò gli sforzi per la pace di Benedetto XV.
Per quanto riguarda la politica interna, pur in tempi estremamente difficili pose mano ad un'ampia ed esemplare legislazione sociale, ispirata all'insegnamento sociale cristiano.
Il suo comportamento rese possibile al termine del conflitto una transizione a un nuovo ordine senza guerra civile. Tuttavia venne bandito dalla sua patria.
Per desiderio del Papa, che temeva lo stabilirsi del potere comunista nella Mitteleuropa, Carlo cercò di ristabilire la sua autorità di governo in Ungheria. Ma due tentativi fallirono, poiché egli voleva in ogni caso evitare lo scoppio di una guerra civile.
Carlo venne mandato in esilio nell'isola di Madeira. Poiché egli considerava il suo compito come un mandato di Dio, non poté abdicare alla sua carica.
Ridotto in povertà, visse con la sua famiglia in una casa assai umida. Perciò si ammalò a morte, accettando la malattia come sacrificio per la pace e l'unità dei suoi popoli.
Carlo sopportò la sua sofferenza senza lamenti, perdonò a tutti coloro che avevano mancato contro di lui e morì il 1 aprile 1922 con lo sguardo rivolto al Santissimo Sacramento. Come ricordò ancora sul letto di morte, il motto della sua vita fu: «Tutto il mio impegno è sempre, in tutte le cose, conoscere il più chiaramente possibile e seguire la volontà di Dio, e questo nel modo più perfetto».